Thierry Thomas, vincitore del premio Goncourt  per la sua biografia su Pratt, racconta il proprio lavoro e la sua amicizia col papà di Corto Maltese: “E’ stato l’uomo più libero che abbia mai conosciuto”.

Thierry Thomas
Thierry Thomas
regista e scrittore

Editore Grasset

Hugo Pratt, trait pour trait

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L’11 maggio la giuria del Premio Goncourt per la biografia ha voluto dare il prestigioso riconoscimento a Thierry Thomas per il suo “Hugo Pratt, trait pour trait” edito da Grasset. Il Goncourt è il riconoscimento più autorevole che viene attribuito in Francia ed è conosciuto in tutto il mondo.

Thierry, di solito avviene il contrario, ma lei ha prima fatto il film “La doppia vita di Hugo Pratt” e poi il libro “Trait pour trait”. Come nacque l’idea?

La mia editrice, Martine Saada, era venuta in sala di montaggio del film e si rese conto che avevo una montagna di appunti. Mi chiese cosa c’era dentro, cosa c’era in più rispetto al film e quindi ha voluto farne un libro. Mi disse: “Voglio vedere se riesci a scrivere “Io”, perché sapeva che non faccio mai nulla mettendo al centro me stesso. Del resto, sai, io amo il teatro e in quel mondo l’”Io” non esiste.

La vittoria del premio Goncourt è stata sorprendente?

Sono rimasto a bocca aperta. E’ un riconoscimento al mio lavoro, certo, ma anche a quello di Hugo e a tutto il mondo dei fumetti. In Francia, ma penso anche in Italia, c’è ancora una grande differenza tra la Cultura ufficiale e l’arte più popolare della quale certamente i fumetti fanno parte. La mia non è poi una vera e propria biografia, è molto poco tradizionale. Ho sempre pensato che Hugo sia stato l’artista e forse l’uomo più libero che abbia mai conosciuto. Quando un uomo e un artista sono veramente liberi anche la narrazione della sua vita per noi che la raccontiamo è nutritiva. Di un artista che ha una vita più triste si possono fare libri scolastici, per quelli come Hugo è proprio divertente raccontare. Diventa automaticamente più libero anche il nostro modo di raccontare.

Come vi siete conosciuti?

Quando avevo 15 anni  volevo diventare disegnatore di fumetti. Avevo visto le sue prime cose ed ero affascinato e cercavo di riprodurli. Allora, era il 1972, sono andato nella sua casa di Venezia, a Malamocco, coi miei disegni e volevo un giudizio. Mi disse che per la tecnica del disegno non c’erano problemi: “Se hai il tempo puoi diventare disegnatore. Ma devi migliorare il tuo modo di narrare, di raccontare”. Quel giorno che ero andato a trovarlo lui era in compagnia di un editore italiano e davanti a lui mi disse: “Devi raccontare nel modo più semplice quello che vuoi perché i lettori non sono degli stronzi, ma gli editori sì” e mi indicò il suo editore e si misero a ridere tutti e due.

Da quel giorno avete continuato a vedervi?

Sì ma molto a intermittenza. Poi, nel 1988, quando ha cominciato a vivere a Grandvaux, vicino Losanna, ci siamo rivisti quando ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura del film “Corte sconta detta Arcana”.

Cosa ti ha lasciato l’amicizia con Hugo?

E’ una cosa difficile e facile al tempo stesso ed è contenuta nel mio libro. Posso ritrovare Hugo solo quando sono di fronte ai suoi disegni, o meglio ancora davanti al suo tratto. Quella che ha lasciato in me è come una musica, la sua musica è il suo tratto. Se amo uno scrittore, quando lo leggo è come se sentissi una musica. Lui era il mistero del suo tratto. Perché Hugo, a un certo punto della sua vita, probabilmente quando era giovane, è voluto divenire un personaggio rivelando tutto il suo carisma. Un po’ come gli attori che sono uomini che si mostrano non per essere veramente guardati ma un po’ per nascondersi. Hugo era il suo tratto ed io, guardando il suo lavoro, lo ascolto, ancora oggi e mi sembra di sentire una musica.

di Fabrizio Paladini